Preparati ad essere criticato, perchè Xavier Giannoli con questo suo ultimo lavoro non è affatto tenero: ti ritrae acefalo, pronto a odiare colui che un attimo prima osannavi come il nuovo messia di un'epoca apparentemente senza Dio, ma dove in realtà ce e sono molti, ed ognuno di loro incanala il tuo pensiero; questi Dei pagani sono i Media, o meglio, coloro che li gestiscano come i giornalisti Fleur Arnaud (Cécile De France) e Jean-Baptiste (Louis-Do de Lencquesaing), due facce diverse della stessa medaglia, entrambi ambiziosi ma la prima con qualche scrupolo in più del secondo in quanto decide di cambiare vita; non a caso i suoi capelli cambiano di colore, passando da un rosso sangue a un biondo etereo (Gannaroi deve aver ascoltato Gaber, quando in "Io, se fossi Dio" definisce i giornalisti "Cannibali, necrofili, deamicisiani, astuti/ E si direbbe proprio compiaciuti").
Ridi spettatore, là dove c'è poco da ridere, in un film dai toni cupi, dalle luci fredde, che non si vergogna di criticare te e il suo mezzo di pubblicità principale. Ridi, quando vedi i tuoi alter ego puntare il telefonino verso un impaurito Martin Kazinski che rifugge la fama come la lebbra.
Ridi, quando sempre Martin Kazinski inizia una surreale conversazione con un produttore che non crede al suo voler restare nell'anonimato. "Superstar" è un film di riflessione, amaro e originale che mischia diversi stili di ripresa, da quello televisivo a quello che usiamo noi comuni mortali quando inseriamo su youtube i nostri filmini fatti con cellulare, ma è il linguaggio cinematografico di Giannoli a svelare i misteri dei "dietro le quinte", come se il Cinema, quello con la "C" maiuscola, fosse ancora in grado d'aiutarci a capire il mondo.
Alla fine della pellicola resta solo una fredda domanda, che contiene tutto e niente, la stessa domanda che Martin Kazinski ripete come un fioretto dall'inizio alla fine del film: " Pourquoi?".
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